Sono trascorsi quasi dieci anni dalla scomparsa di Gustavo Adolfo Rol, il più grande, il più famoso sensitivo dell’occidente. La sua presenza ha attirato a Torino negli ultimi sessant’anni, industriali, artisti, politici, scrittori, alti prelati, ambasciatori, tutti in trepidante attesa di essere ammessi nel suo salotto.
Come Merlino , che è da qualche parte, nascosto nelle nebbie di Avalon, è come se anche il Vecchio, il Grande Vecchio fosse ancora lassù nella sua bella casa sul Valentino, a vegliare sui destini e sui sogni di tutti noi che lo abbiamo amato.
Il giorno del suo funerale, scalino dietro scalino, i torinesi in fila ordinata, (perché nella vecchia Torino tutto è ordine) sono saliti fino a lui, al quinto piano, per portargli il loro silenzioso, accorato affetto, gratitudine, ringraziamento…
Quel giorno le porte della sua casa, di solito gelosamente sorvegliate dal custode, erano aperte a tutti, ma non c’erano curiosi, c’era tutta la città. C’era la Torino-bene, l’aristocrazia, c’erano auto blu con l’autista. Forse mancava qualcuno che Lui si sarebbe aspettato di vedere, ma in compenso c’erano anche tantissimi giovani. Tanti ragazzi in jeans, con lo zainetto dei libri a tracolla che forse hanno marinato la scuola per correre da lui.
La coda si snodava già lungo il marciapiede, in tanti avevano colto quell’unica occasione per varcare quella soglia misteriosa e stare vicino a Lui anche soltanto per un momento.
Noi che lo abbiamo conosciuto e frequentato, sappiamo che non torneremo mai più lassù, che non rivedremo più la bella stanza rotonda col soffitto di specchi dove lui ci teneva sospesi fra due mondi con i suoi esperimenti…
Quella sua casa incantata è stata disfatta, venduta; non voglio sapere chi vi abita… I mobili antichi e preziosi, i quadri d’autore, i tanti oggetti rari, le cose appartenute Napoleone, sono andati all’asta da Sotheby, contesi da un pubblico che cercava di raccogliere anche le briciole di ciò che gli è appartenuto.
Ma per noi, quella casa è ferma e sospesa nel tempo, indelebile nella memoria. E’ come se anche lui fosse ancora lassù, nel suo studio che dipinge rose, o si muove leggero dietro alle tende di raso, spiando il nostro arrivo sul marciapiede per aprirci il portone.
Aveva mobili antichi molto pregiati, ma il suo salotto preferito aveva la praticità delle cose moderne. Da quando lo ricordo, era rivestito di un bel tessuto di lino a grandi rose….
Ci riceveva a piccoli gruppi, non più di sette-otto persone per volta, decidendo personalmente l’assegnazione dei posti.. Sono convinta che scegliesse con cura, anche l’assortimento dei suoi ospiti, secondo criteri per noi imperscrutabili. Credo che amasse intrecciare le nostre vite in qualche strana geometria, legando le nostre reciproche esperienze in una sorta di fratellanza che sarebbe rimasta indissolubile fra noi.
Quando si arrivava lassù, dopo i cinque piani nel vecchio ascensore lucido di cera e di ottone, tutti noi suoi ospiti eravamo lievemente euforici, sapevamo che il mondo esterno si sarebbe chiuso alle nostre spalle, dietro quella porta piena di catenacci e chiavistelli che Rol apriva e chiudeva personalmente per accoglierci.
Prima ancora che lui facesse le presentazioni, ci guardavamo un po’emozionati, con un’aria di complice simpatia,con un’intesa tutta particolare, poichè tutti avevamo la sensazione che avremmo preso parte ad un qualcosa di unico, irripetibile. Trovarsi davanti al mito vivente, avvolti dalla sua presenza, così intensa e magnetica, ci dava il batticuore…
Una volta sistemati, ci osservava con sorridente simpatia, ci guardava negli occhi uno per volta, forse scrutando nella nostra mente o nel nostro cuore alla ricerca di qualcosa che solo lui poteva vedere… E poi s’informava amabilmente sul nostro lavoro, la salute, gli affetti. Talvolta gettava là, quasi casualmente una frase, una parola che faceva trasalire segretamente il diretto interessato, rispondendo o illuminando un segreto che lui solo poteva conoscere.
Non c’era mai un tema preciso, sarebbe venuto fuori “casualmente”nel corso della serata. Rol era geniale, stravagante, ironico, pronto ad avvolgerci con quella sua cortesia d’altri tempi, talvolta sperticata o a fulminarci con qualche battuta micidiale.
Poi, si passava nella “sala degli specchi”, quella che più profondamente è rimasta nel cuore di tutti noi, descritta nei romanzi di scrittori che sono passati di là.
In quella quella stanza, (ma poteva accadere ovunque) le leggi della fisica, dello spazio e del tempo si fermavano. Nel corso degli esperimenti poteva accadere di tutto: apporti, smaterializzazioni, testimonianze dal passato, o visioni dal futuro…
Spesso si presentavano gli Spiriti Intelligenti di grandi personaggi del passato, lasciando nelle tasche dei presenti, messaggi scritti sui fogli bianchi prelevati in precedenza dal centro tavola.
Qualche volta piombavano sul tavolo oggetti materializzati dal nulla, o forse sarebbe meglio dire da “altrove“, poiché il nulla non esiste…
Attorno a quel tavolo ovale è passato il fior fiore dell’intellighenzia europea del novecento, compresi Tullio Regge e Piero Angela. In quel salotto sono passati i più bei nomi della finanza, dell’industria, dello spettacolo, della scienza, intellettuali e qualche premio Nobel. Pitigrilli era di casa, Fellini prendeva spunti surreali per i suoi film. Nino Rota compose sul mitico pianoforte bianco il tema di ”il padrino”, e tanti altri nomi della politica e della finanza su cui ci chiese spesso di mantenere il segreto…Talvolta riceveva privatamente capi di stato o altri personaggi che arrivavano in incognito.
La sua casa era inviolabile, le tende abbassate per timore di essere fotografato da lontano con il teleobiettivo (era già accaduto). Di giorno, un portiere implacabile come un mastino precludeva il passaggio a chiunque. La sera il portone era chiuso, niente citofoni e nessun nome sul campanello. All’ora esattamente convenuta scrutava il marciapiede dabbasso da dietro una tenda, ci riconosceva, ci contava, e soltanto allora mandava ad aprire il portone.
Incontrarsi nel suo salotto ci faceva sentire accettati in una èlite particolarissima, ricevere una sorta di iniziazione. In tutti noi c’era uno strano miscuglio di emozioni: aspettativa, gratitudine, una punta di orgoglio, batticuore, ma soprattutto la consapevolezza che al suo cospetto, tutte le leggi conosciute della natura venivano sospese e modificate da un qualcosa di arcano e meraviglioso…
Con Rol è finita un’epoca. E’ finita come la Belle Époque, come l’Orient Express e la Valigia delle Indie. Una grande luce si è spenta su Torino, e tutta la città ne brillava di riflesso, la stessa cosa che abbiamo percepito quando si è spento Agnelli…
Ora ci restano soltanto i ricordi, e non è neppure facile parlarne. Si vorrebbero raccontare tante cose, poi c’è una sorta di riserbo che ci trattiene; ci sono cose che non racconteremo mai, altre che riserveremo per i nostri nipoti. Altre cose ancora sono sulla bocca di tutti, sussurrate, a volte distorte, alimentando quella che sarà l’ultima leggenda metropolitana, la prima da tramandare al nuovo secolo…